DUE ARTICOLI



UN ARTICOLO DI FLAVIA AMABILE: "MA CHI E' CHE NON LAVORA?"

Ricordate queste parole, a un certo punto potrebbero venirvi utili. Renato Brunetta, appena nominato ministro della Funzione Pubblica, ha annunciato una 'rivoluzione' nella pubblica amministrazione. Il governo stringerà un patto con dipendenti e sindacati per rendere efficiente il lavoro degli statali. Nessuno sarà risparmiato, e chi non lavora verrà licenziato. Così come è la pubblica amministrazione non va. «È un miracolo che la pubblica amministrazione stia ancora in piedi. Un’azienda privata in queste condizioni già avrebbe chiuso. Se sindacati e dipendenti accetteranno questo approccio avremo raggiunto un grande risultato, altrimenti saranno marginalizzati». Difficile non essere d'accordo. Sono anni, decenni, che tutti sono d'accordo, a partire da quelli che hanno a che fare con un ufficio pubblico. Ma tra l'esprimere un'idea universalmente condivisa e attuarla c'è una discreta differenza. Riuscirà il ministro Brunetta a trasformare in realtà le sue parole e a farlo senza tagliare dove non si deve? Senza criminalizzare chi non va criminalizzato? Punendo chi deve realmente essere punito anche fra i dirigenti? Perché all'interno della massa indistinta della pubblica amministrazione esistono molte realtà. Alcune migliori, altre peggiori, alcune perfette, altre meno. La Cgia di Mestre ha presentato ieri i risultati di un'analisi che fotografa in parte la situazione. Tanto per rincominciare, gli statali esistono soprattutto al Sud. Degli oltre 3.337.000 statali occupati in Italia a tempo indeterminato, 1.234.687 (59 dipendenti ogni 1.000 abitanti) lavora nel Meridione. Al Nord, invece, trovano lavoro 1.339.953 (50 ogni 1.000 abitanti). Non molti gli statali in Lombardia. In cifre assolute ne ha più di tutte le altre regioni (413.216). Ma ne ha anche il numero più basso, se calcoliamo il personale in servizio ogni 1.000 abitanti (solo 43,6). Al Lazio, invece, il record di statali ogni 1.000 abitanti (76,6), anche se il dato di questa Regione risente della presenza delle istituzioni del Governo centrale e di quelle rappresentativo nazionale. Statali in quantità nelle regioni a statuto speciale. Infatti, dopo il Lazio, troviamo la Valle d’Aosta (72,2 ogni 1.000 abitanti), il Friuli Venezia Giulia (70,3 ogni 1.000 abitanti) e il Molise al quarto posto (68,9 ogni 1.000 abitanti). Segue, al quinto posto, la Sardegna (65,6) e al nono la Sicilia (60,8), contro una media nazionale del 56,8 ogni 1.000 abitanti. Chiudono la classifica tre regioni del profondo Nord. Al terzultimo posto il Piemonte (52,1 ogni 1.000 abitanti), al penultimo il Veneto (48,1) e, fanalino di coda, la Lombardia (43,6).
Uscito ieri su "La Stampa".
L'altro articolo è uscito su Liberazione (che invito caldamente tutti i compagni ad acquistare, soprattutto ora che siamo in dirittura d'arrivo al congresso. Se volete tutte le mozioni le troverete lì).

UN ARTICOLO DI ANGELA MAURO: "«NO AL REATO DI CLANDESTINITA'. E POI? VERRA' L'ORA DELLA CACCIA AL POVERO?»"

Angela Mauro
"Famiglia Cristiana" se ne è già lamentata: nel nuovo governo Berlusconi non c'è un nemmeno un ministro cattolico dichiarato, scrive in un editoriale. Ma non sarà certo solo per questo che il mondo cattolico proprio non riesce a mandar giù i primi annunci del nuovo esecutivo in materia di sicurezza e immigrazione. Giorni fa, la Caritas aveva espresso le sue critiche al pacchetto annunciato dal ministro dell'Interno Maroni. E ieri, giornata del vertice a Palazzo Chigi di prima messa a punto delle nuove misure, hanno preso posizione le Acli. «E' inimmaginabile pensare alla clandestinità come reato», dice il presidente delle Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani, Andrea Olivero. Ci spieghi. Sarebbe come dire che è reato il desiderio di vivere in un paese che può garantirti una esistenza migliore. Se andiamo avanti di questo passo, finisce che istituiamo la povertà come reato. Siamo davvero preoccupati. Un conto è la campagna elettorale, periodo in cui tutti forzano i toni. Un conto è legiferare: bisogna essere attenti e saggi. Ci preoccupa che si continui a ragionare in termini di emergenza su temi che invece sono ormai strutturali nella società italiana. Su immigrazione, sicurezza, degrado urbano non si può agire sull'onda dell'emotività, improvvisando. Nel nuovo governo non ci sono ministri cattolici dichiarati. Vi sentite senza interlocutori? Ci confronteremo con chi c'è, la cosa non ci spaventa. Però è noto che un ex ministro dell'Interno come Pisanu è molto critico sul provvedimento Maroni. Non abbiamo problemi ad ammetterlo: con Pisanu abbiamo lavorato bene e ci dispiace che non abbia un ruolo di governo. Ha dimostrato attenzione al tema dell'immigrazione, anche se quel governo Berlusconi non ha mai convocato un tavolo con noi operatori, a differenza del governo Prodi che lo ha fatto, anche se poi non ha prodotto leggi. Maroni vuole convocarvi. Vedremo, mi auguro tenga fede agli annunci. Ad ora, il governo sta dimostrando un'impronta ideologica, nonostante che i suoi esponenti, in campagna elettorale, abbiano annunciato di voler lavorare senza fare ideologia. Penso che nessuno di noi, che lavoriamo con il mondo dell'immigrazione, possa accettare che si parli di immigrazione clandestina come reato. Gli immigrati sono una risorsa per questo paese, piaccia o non piaccia. Almeno due terzi di coloro che ora sono regolari hanno attraversato un periodo di clandestinità. Questo non significa difendere un atteggiamento lassista. Cosa proponete? I reati commessi da cittadini stranieri vanno perseguiti, ma non vanno demonizzati gli stranieri presenti sul territorio, come se fossero gli unici responsabili di una percezione di insicurezza che sembra pervadere i cittadini italiani e gli stessi immigrati. Non servono proclami tesi a criminalizzare un'intera realtà, tipo l'annuncio di utilizzare l'esercito. E' necessario invece favorire l'emersione dei lavoratori immigrati irregolari, situazione favorita da un sistema legislativo limitato e poco lungimirante che rende angusto l'accesso regolare e molto spesso facilita la caduta nell'illegalità anche di chi è riuscito a entrare in Italia nel rispetto delle norme. Ci sono centinaia di migliaia di immigrati che lavorano in Italia e contribuiscono a svolgere compiti che lo Stato non assolve, penso all'assistenza sociale, alle badanti. Non sono loro la vergogna, è l'illegalità che è la vergogna. Va dunque individuato un percorso certo verso la regolarità e verso la cittadinanza: cosa avverrebbe in Italia se anche qui, come in Francia, scioperassero i "senza documento"? Imprese e famiglie sarebbero fortemente penalizzate. Il governo, le amministrazioni locali sarebbero capaci di rispondere alle richieste di welfare che ne deriverebbero? Oggi il welfare di queste famiglie è "fatto in casa" senza il supporto dello Stato, grazie anche a questi lavoratori e lavoratrici. Perchè invece non costruiamo dei tavoli locali sulla sicurezza e l'integrazione? Per costruire una società sicura servono iniziative che incidano sulla qualità della vita delle persone, italiani e stranieri, che si sviluppa nei vari spazi di socializzazione: la scuola, il quartiere, il lavoro, il tempo libero. C'è un'attenzione (ossessione) concentrata sui rom, per loro il governo pensa ad un commissario straordinario. E' esagerato il timore di leggi razziali? Questo lo vedremo. Di certo noto che anche in questo caso l'approccio comprende ancora la parola "straordinario". I rom vivono nel nostro paese da decenni, non è un'emergenza. Bisognerebbe lavorare per la loro integrazione e invece che si fa? Si parla di chiusura dei loro campi, di rispedirli a casa. Ma che vuol dire? Molti di loro sono apolidi, non ce l'hanno un paese d'origine...

Fateci conoscere le vostre idee per poter creare dialogo. Grazie!


RifondaMira


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