RASSEGNA STAMPA


ALCUNE NOTIZIE DA SAPERE


RIFONDAZIONE. POSTO IN SEGRETERIA PER MOLTI MA NON PER TUTTI
da "Il Manifesto" di Matteo Bartocci

Vendola e Ferrero sempre più separati ma restano nella stessa casa. Almeno per ora. Sabato il primo comitato politico nazionale di Rifondazione dopo il congresso di Chianciano prenderà atto, al di là delle aperture di cortesia, della spaccatura emersa a luglio. Così le principali anime del Prc si presenteranno unite al cpn di sabato ma si divideranno subito il giorno dopo all'assemblea al Brancaccio di Roma, presentata come il primo appuntamento pubblico della «nuova» Rifondazione da Ferrero e derubricato dai vendoliani come una semplice assemblea della nuova maggioranza del partito. Sabato è un passaggio chiave per il partito spaccato a metà al congresso (47% Vendola, 53% le altre 4 mozioni per l'ex ministro della Solidarietà). All'ordine del giorno del «parlamentino» tutti gli incarichi a partire dalla segreteria. E la «quadra» è ancora lontana. Ferrero confermerà la proposta di gestione «unitaria» fatta al congresso.
Un'ipotesi già sondata negli incontri estivi con la vecchia maggioranza («sherpa» Francesco Ferrara) e già respinta. I «vendoliani» avevano chiesto una sorta di «ministro ombra» per ogni dipartimento da affiancare al responsabile della nuova, eterogenea, maggioranza. «Ma così sarebbe stato un partito nel partito», commentano gli uomini del segretario. Stante il muro contro muro, Vendola e la sua area si divideranno col bilancino i responsabili dei vari dipartimenti (da cui dipende anche la divisione dei finanziamenti al partito) in modo da «blindarsi» prima di decidere che fare alle europee. Paolo Ferrero, dal canto suo, ha molte gatte da pelare. Lavora a una segreteria «ristretta» (6-8 persone) aperta a tutte le componenti («vendoliani» a parte). I trotzkisti di «Falce e martello» hanno già chiesto una figura cardine come il responsabile lavoro. Mentre Claudio Grassi è in pole position per gestire l'organizzazione e dunque tenere le chiavi del partito. Non manca il caos nemmeno nell' Ernesto (9 membri nel Cpn, decisivi, su 280), che quest'estate si è diviso in due (o in tre): da una parte Gianluigi Pegolo, prescelto per la segreteria ma finito in minoranza nella sua stessa corrente, dall'altra il grosso (filo-Pdci) che fa capo a Fosco Giannini. Se Ferrero dovesse aprire a entrambi addio «timone» ristretto e a cascata si aprirebbe il vaso di Pandora.


TUTTI I MORTI SONO DA RISPETTARE MA LE CAUSE PER CUI SI MUORE NO
da "Liberazione" di Lidia Menapace

Ero molto assonnata l'altra sera e ascoltavo per dovere Primo piano , ma mi sono risvegliata di botto ascoltando Mantovano: il sottosegretario giustificava il ministro La Russa (e lasciamo pur stare se fa parte di quelli che vogliono fare le scarpe a Fini: sono affari interni alla destra) - ma era sorprendente quel che sosteneva. «I poveri ragazzi di Salò, confusi, patriottici, vaghi». Ma noi? Loro erano tutti scemi e poveri ragazzi che non capivano nulla e noi che avevamo il manifesto di Marx del 1848 in una tasca e il "Che fare?" di Lenin nell'altra e capivamo tutto? Ma come si fa a costruire una "memoria condivisa" così, senza il minimo apparato informativo, su una frase di un candidato presidente della Camera in lista d'attesa per proporsi alla presidenza della Repubblica e in cerca di consensi? Chi ha proposto la "memoria condivisa" sapeva quel che diceva? Ma quale memoria è "condivisa"? Nemmeno quella della storia del calcio! Che cosa vuol dire? Passata la festa gabbato lo santo, volemose bbene ecc.? A parte qualsiasi altra considerazione, dove è il fondamento scientifico, quale appoggio storiografico regge tale risibile proposta politica? La memoria è da ricostruire criticamente e alla fine si compone un giudizio storico-critico, magari provvisorio (la memoria della Resistenza deve essere arricchita ancora di molti elementi, ad esempio di tutta la parte della partecipazione delle donne, dei contadini, degli operai) e poi ci si riferisce ad essa sulla base del fatto che gli errori e le colpe altrui non scusano le mie, cosa che già sapeva Socrate, non occorre nemmeno essere postmoderni; e che tutti i morti sono da rispettare fino a prova contraria, ma le cause per cui si muore no, non sono tutte da rispettare. Che cosa pensavamo noi che decidemmo di fare la Resistenza? Anche noi eravamo confusi, anche perchè Badoglio non dette affatto ordini chiari e i generali si comportarono in modi molto differenti e perchè i "liberatori" non furono sempre tali. Ad esempio l'Udi li accusò di essere stati molto violenti con le donne e tentò negli anni '50 di ottenere che alle donne stuprate dai "Liberatori" (ricordate la Romana di Moravia e l'episodio della ragazza siciliana in Paisà di Rossellini?) fosse riconosciuto lo stupro come danno di guerra (riconoscimento ottenuto e mai seguito da un qualsiasi risarcimento). Anche la nostra storia non è tutta lineare, quando mai? Fu uno degli eventi più drammaticamente confusi, incerti, pieni di dubbi e di oscurità di tutta la nostra tormentata storia. Ma riuscimmo a capire le cose profonde, i fondamenti etici, e a comportarci secondo quel che avevamo capito e di ciò ci sentiamo responsabili. Non è che da una parte ci fossero tutti i geni e i colti della storia e dall'altra dei poveri stupidi abbacinati dalla patria, dalla fedeltà e dall'"onore". Era noto e del resto visibile a tutti che Mussolini non si oppose in alcun modo alle azioni di Hitler contro gli altri popoli e questo ben prima di diventare, a seguito di una congiura dei suoi, prigioniero e vittima a sua volta: infatti quando Hitler annettè l'Austria, Mussolini che aveva un patto con Dollfuss per la tutela dell'integrità austriaca, mandò per forma alcune divisioni al Brennero e poi se le riprese e lasciò che Hitler si mangiasse l'Austria, arrivando fino al Brennero, alla faccia della fedeltà e dell'onore! Era così evidente la sottomissione di Mussolini ad Hitler che circolò in quei giorni una battuta. Il giorno in cui Hitler decise di passare il confine e prendersi l'Austria, si ricordò all'improvviso che non aveva detto nulla al Duce, allora impugnò la penna e con stile laconico qual si addice ai veri uomini, gli scrisse : «Caro Benito, annetto, tuo Adolf» e Mussolini ricevuto cotanto messaggio replicò laconicamente da vero macho:«Caro Adolf, abbozzo, tuo Benito». Ognuno cercò di capire che cosa succedeva e molti e molte capirono e si schierarono dalla parte che credevano giusta o conveniente: il giudizio storico si confeziona su questi dati. Citerò un fatto. A Novara dove vivevo, venne a morire non molto dopo l'8 settembre 1943 il vescovo ed eravamo in attesa di vedere se il Vaticano avrebbe nominato un altro vescovo che giurasse fedeltà al governo o no. Il Vaticano nominò un amministratore apostolico con tutti i poteri di vescovo che però non doveva giurare non essendo vescovo e si capì che non giudicava la Repubblica di Salò uno stato legittimo. Era un segno chiarissimo. Il vescovo agì contro le violenze con grande coraggio e il prefetto fascista Vezzalini mise una taglia di un milione sulla sua testa e fece bruciare la sua macchina, prontamente restituitagli dagli industriali novaresi. Ma i nazi e i fascisti non lo piegarono e la città lo compensò con un bel monumento nei giardini pubblici col titolo di "Defensor civitatis". Le storie della Resistenza sono tante, non condivise, ma sarebbe il caso di smetterla con le solite memorie riscaldate e andare a vedere i fatti.


«A PORTA SAN PAOLO C'ERAVAMO NOI. CIARRAPICO DICE FALSITA'»
da "Liberazione" di Tonino Bucci

Rosario Bentivegna a Porta San Paolo quel giorno c'era di persona. L'8 settembre era sulle barricate per difendere Roma dalle truppe tedesche. Di quelle giornate conserva una memoria formidabile. Della Resistenza romana parla con orgoglio, appena un pizzico di scoramento per il dibattito di questi giorni, per le dichiarazioni del ministro La Russa sulla Rsi e per l'essere costretto a puntualizzare eventi che pensavamo essere acquisiti dalla memoria pubblica. Così, purtroppo, non è. La memoria, se non la si esercita, impallidisce. Scompare. E allora capita che acquistino credibilità nel calderone massmediatico persino frasi come quelle pronunciate da Giuseppe Ciarrapico, senatore del Pdl, noto per le nostalgie fasciste. «A combattere a Porta San Paolo - ha detto - non c'erano né partigiani né ebrei, nessuno di loro ha preso il fucile. C'erano solo fascisti. Napolitano elogia tanto la Resistenza a Porta San Paolo: ma lì i partigiani non si sono mai visti». Rosario Bentivegna la Resistenza l'ha fatta per davvero, è stato comandante gappista nella zona della Casilina e, semmai ci fosse il bisogno di ricordarlo, uno degli autori dell'attentato di Via Rasella contro una colonna di soldati delle Ss.Che novità è mai questa? A Porta San Paolo c'erano solo fascisti? Non vale la pena perdere tempo a rispondere a queste provocazioni. Sono in palese contrasto con i fatti. Certo, a San Paolo, l'8 settembre c'erano soldati dell'esercito nazionale dello Stato fascista. Un esercito allo sbando abbandonato dall'Alto Comando. Ma questo non significa che i soldati fossero tutti fascisti. E' la solita idiozia, il solito ritornello, "fino all'8 settembre eravamo tutti fascisti". Non è la prima volta che lo sento. Semmai è grave il credito che si concede agli autori di queste provocazioni. I soldati di San Paolo erano antifascisti. Anch'io ero un soldato del Regno d'Italia. Ma non ero fascista. E come me non lo erano neppure tanti altri della mia generazione. Un altro esempio? Quand'ero studente di medicina rifiutai assieme agli altri di cantare Giovinezza. Viene fuori la cultura fascista di tanta parte del personale politico di questo governo. Hanno detto che a Porta San Paolo non c'erano partigiani. Ma Roma non è stata tra le prime città dove sono nati i Gap? Chiaro che l'8 settembre non potevano esserci formazioni partigiane organizzate. A parte il fatto che non ci sarebbe stato tempo per organizzarsi, non dimentichiamo che l'occupazione nazifascista inizia solo l'8 settembre al momento dell'armistizio. A ogni modo a Roma le prime azioni dei gappisti risalgono già al mese di ottobre, se non prima. E il Comitato di liberazione nazionale nasce già il 9 settembre per iniziativa dei partiti antifascisti. La Resistenza romana non ha avuto solo San Paolo, il Ghetto, via Rasella e le Fosse Ardeatine che sono le azioni ancora presenti nella memoria storica. Dall'8 settembre del '43 al 4 giugno del '44 è stata all'avanguardia nella lotta armata contro gli occupatori nazisti e i loro alleati repubblichini. Roma poteva resistere con successo non solo per l'imponente presenza di militari dell'esercito italiano ma anche per la volontà diffusa nei romani di battersi contro l'occupazione nazista. Senza il sostegno della popolazione la Resistenza romana non avrebbe avuto quelle caratteristiche politiche e militari di spontaneità e di diffusione capillare. C'erano decine di formazioni, da quelle dei partiti del Cln (soprattutto, comunisti, azionisti e socialisti), ad altre come Bandiera Rossa o i Cattolici Comunisti o il Centro militare clandestino degli ufficiali. E altre ancora, piccole o piccolissime, che operavano in autonomia. Quali sono i tuoi ricordi personali? Ricordo che in quelle giornate giravamo per Roma in cerca di armi. C'era tanta gente che voleva armarsi per andare a fermare i tedeschi. La fuga del Re e la mancanza di ordini aveva gettato le divisioni dell'esercito italiano nella confusione. Dalle caserme gettavano le armi. E i cittadini correvano per prenderli. Era un moto spontaneo. C'era poco di organizzato. Qualche giorno prima dell'8 settembre, in vista di un eventuale scontro con i tedeschi, furono consegnate delle armi ai partiti antifascisti. Il generale di corpo d'armata Giacomo Carboni diede in consegna a Luigi Longo, Roberto Forti e Antonello Trombadori due camion carichi di fucili, pistole e munizioni. E loro li distribuirono ai militanti del Partito comunista. Credo che fatti analoghi siano avvenuti anche negli altri partiti antifascisti. A Roma la forza militare dei tedeschi era tutt'altro che invincibile se non fosse stato per la bassezza degli alti comandi italiani. O no? La forza militare italiana era enorme. Potevamo battere i tedeschi senza difficoltà. Attenzione però. A Roma i tedeschi non hanno vinto. Tutti dimenticano che i combattimenti non si sono svolti solo a San Paolo. Ci furono scontri per un raggio di venti chilometri tutto attorno alla città. I romani e i soldati combatterono strenuamente tanto che i tedeschi - non noi - furono costretti a chiedere un armistizio. Roma non chiese né ottenne una resa, ma firmò il 10 settembre un armistizio le cui clausole furono immediatamente violate dai nazisti. I tedeschi riconobbero a Roma lo status di "città libera", presidiata dalle truppe dell'esercito italiano, impegnandosi a non entrare in città con i loro comandi e le loro truppe, e chiedendo soltanto il controllo della loro ambasciata, delle strutture radiofoniche di "Roma 1" e delle centrali telefoniche presenti in città. Le loro richieste furono accolte. Così l'armistizio fu firmato. Ma il giorno dopo la sua pubblicazione, i nazisti tedeschi non tennero fede ai patti, occuparono la città, rastrellarono gli ufficiali e i soldati che riuscirono a catturare e li deportarono, insieme agli alti ufficiali che avevano firmato con loro l'armistizio che aveva posto fine alla breve difesa di Roma.


COM'E' DIFFICILE AVERE A ROMA LA PILLOLA DEL GIORNO DOPO
da "Repubblica" di Marino Bisso

ROMA - Niente pillola del giorno dopo nella metà degli ospedali romani. Lo rivela una video-indagine dell'Associazione radicali di Roma che per due mesi ha monitorato nei fine settimana i pronto soccorso della capitale. Una coppia, con una telecamera nascosta, si è presentata in accettazione richiedendo la prescrizione del farmaco per evitare il rischio di una gravidanza non desiderata. "Il preservativo si è rotto e ora ho paura di rimanere incinta... Ho bisogno urgente che un medico mi prescriva la pillola del giorno dopo" spiega la donna nella video-indagine rivolgendosi agli infermieri e sanitari di turno. Ma in dieci ospedali ( per lo più cattolici) su venti la risposta è negativa: "Mi dispiace il nostro è un ospedale religioso, qui da noi ci sono solo medici obiettori di coscienza... Niente pillola, deve rivolgersi altrove". La pillola in questione, Norlevo, (due compresse a distanza di dodici ore una dall'altra entro le 72 ore dal rapporto) non provoca aborto ma agisce inibendo e ritardando l'ovulazione cioè prima della fecondazione. Per averla in Italia ci vuole la ricetta medica che può essere richiesta al consultorio, al medico curante, alla guardia medica o in un pronto soccorso. "Ma ottenere la prescrizione di notte e nei fine settimana è difficile se non impossibile negli ospedali romani - denuncia Massimiliano Iervolino dell'Associazione Radicali Roma - Eppure la pillola del giorno dopo è una prescrizione d'urgenza, il cui rilascio è dovuto in assenza di qualsivoglia possibilità di diagnosi e come tale i pronti soccorso sono tenuti a prescriverlo assicurando la presenza di medici". Dal centro alla periferia, è impossibile trovare un medico che non sia obiettore negli ospedali religiosi: succede al Cristo Re, al Fatebenefratelli, alle Figlie di San Camillo, al San Carlo, al San Pietro sulla Cassia e al Santo Spirito. Al policlinico Gemelli un infermiere allarga le braccia e consiglia alla coppia di consultare Internet: " Lì potete trovare informazioni e anche il numero di telefono di un medico che fa la prescrizione senza alcun problema". Ma anche in due ospedali civili, il Cto Sant'Andrea e l'Aurelia Hospital il farmaco non viene prescritto. Nel primo mancano i moduli per il consenso informato; nel secondo pronto soccorso, i medici sono solo obiettori. "L'esonero per i medici obiettori di coscienza è consentito solo per l'interruzione della gravidanza - sottolinea Iervolino - La pillola del giorno dopo, invece, è un farmaco per la contraccezione d'emergenza perciò non è possibile l'obiezione di coscienza. Se un medico la invoca deve indicare il rifiuto sul documento della prestazione". All'ospedale San Giovanni, invece, il personale invita a presentarsi il giorno dopo al consultorio "tanto ci sono tre giorni di tempo per prendere il farmaco" rassicurano. Nelle altre strutture, comunque, ottenere la pillola non è facile e comunque bisogna sottoporsi a lunghe attese e spesso le notizie date dal personale sanitario sono imprecise. Solo in tre strutture (Sandro Pertini, Grassi di Ostia e al Policlinico Umberto I) vengono fornite spiegazioni esaurienti. "Il farmaco deve essere assunto tempestivamente. Ma negli ospedali non viene detto oltre ad essere posticipata la somministrazione a volte per ragioni burocratiche. Entro 12-24 ore dal rapporto sessuale la pillola riduce la possibilità di rimanere incinta fino al 90-95% - incalza Iervolino - Successivamente l'efficacia si riduce e se assunta tra le 48-72 ore il rischio di una gravidanza è maggiore di 6-8 volte".


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RifondaMira


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